il 5 maggio in Controluce

Come ogni anno, per questa celebrazione napoleonica facciamo il verso ai controatleti. Ecco dunque la celeberrima poesia del Manzoni rivisitata in salsa lasagnona.

Buona lettura e buona meditazione.
Ei fu. Siccome immobile,
data la fin del campionato, stette il record immemore dell’ultimo successo, trapassato
così percossa, attonita
Mirandola al nunzio sta, muta pensando all’ultima gara dello squadròn fatale; ma sa che d’autunno
una simil orma di piè mortale
la sua ordinaria polvere
a calpestar verrà. E gioisce.
La Controluce folgorante in solio
vide il mio genio e tacque; quando, con vece assidua,
cadde, risorse e giacque,
(più spesso cadde, invero)
di mille voci al sònito mista la sua non ha:
vergin di servo encomio e di codardo oltraggio,
sorge or commosso al sùbito sparir di tanto raggio;
e scioglie all’urna un cantico che forse non morrà.
Dalle Cupole alle Ferraris, da Pavullo al Palazzetto,
nondimeno, di quella ciurma il fùlmineo Cecce
tenea dietro al baleno, pria
di sua perfida fuga in Albione;
scoppiò da Mutina a Reggio Emilia, dagli uni agli altri bars.
Fu vera gloria? Ai posteri l’ardua sentenza:
nui chiniam la fronte al Massimo Fattor Vet. Luigi Prandini,
che volle in Lei del creator suo spirito più vasta orma stampar.
La procellosa e trepida gioia d’un gran disegno;
l’ansia d’un cor che indocile serve, pensando al legno (cioè al cucchiaio);
e il giunge, e tiene un premio ch’era follia sperar;
tutto ea provò: la gloria, maggior dopo il periglio,
la fuga e la vittoria in CSI,
il celibato di Reggia ad Ascoli
e il tristo esiglio (dalle doppie V);
diciannove volte nella polvere, niuna sull’altar.
Ea si nomò: due Federal, l’un contro l’altro armato,
sommessi a lei si volsero, come aspettando il fato;
ea fè’ silenzio, ed arbitra s’assise in mezzo a lor.
Finché il Federal dal coccigeo crine
candido disse: sì, e la Pria Divisione
registrò un’insolita addizione.
Ma subito dalle vittorie
la Controluce sparve, e i dì nell’ozio chiuse in sì breve sponda,
segno d’immensa invidia e di pietà profonda,
d’inestinguibil odio e d’indomato amor.
Come sul capo al naufrago l’onda s’avvolve e pesa,
l’onda su cui del misero, alta pur dianzi e tesa,
scorrea la vista a scernere prode remote, invan;
tal su quell’accozzaglia umana
il cumulo delle sconfitte scese.
Oh quante volte ai posteri narrar se stessa imprese,
e sull’eterne pagine cadde la stanca man!
Oh quante volte, al tacito morir d’un giorno inerte,
chinati i rai fulminei,
all’ennesima palla persa
il buon Carlese le braccia al sen conserte stette,
e dei dì con le Piovre l’assalse il sovvenir!
E ripensò alle mobili difese, e a i ginocchi lassi,
al lampo dei Cadetti, all’onta dei Giganti,
alle preci di Orazione e alla Stella dei suoi fanti.
Ahi! Forse a tanto strazio cadde lo spirto anelo, e disperò;
ma valida venne una man dal cielo,
e in più spirabil aere pietosa il trasportò;
e l’avviò pei floridi
sentier della speranza, al CSI di Mantua,
al premio che i desideri avanza: la Coppa,
dov’è silenzio e tenebre l’in-gloria che passò.
Bella Immortal! Benefica Fede ai trionfi avvezza!
Scrivi ancor questo, allegrati;
ché più superba altezza
(quella di Diaz che schiaccia)
al disonor del Gòlgota
e all’alcova a Guattarella
(ove il Vet mercanteggia)
giammai non si chinò.
Tu dalle stanche membra
di sì giovani corpi
sperdi ogni ria parola: il Woodman che atterra e suscita,
che lotta e che consola, dalla mattonella amica
una tripla a mano sola
inopinatamente
infilò.

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